domenica 11 novembre 2018

Il numero di neuroni della corteccia cerebrale sembra strettamente correlato alla longevità delle specie




L’idea che il metabolismo specifico (il dispendio di energia per grammo di tessuto e per unità di tempo) giochi un ruolo importante nel determinare la longevità delle differenti specie in natura è abbastanza intuitiva ed è stata oggetto di alcune teorie e studi sull’invecchiamento che in passato hanno riscosso un enorme successo (1). Il metabolismo specifico d’altronde è inversamente legato alla massa corporea di un animale (animali più piccoli hanno quindi un metabolismo basale più accelerato) e questo aiuterebbe a spiegare la relazione esistente tra la massa corporea e la longevità che si osserva tra le differenti specie in natura. In altre parole, le specie con massa corporea più grande vivono generalmente più a lungo delle specie con massa corporea più piccola.
Tuttavia, l’ipotesi che la longevità sia determinata dal metabolismo specifico presenta numerose discrepanze che hanno portato diversi biogerontologi a rifiutare completamente tale teoria (2). La prima discrepanza che si osserva è proprio nella relazione tra peso corporeo e longevità delle specie (questa spiega solo un 20-30% delle differenze in natura, quantomeno basandosi sui coefficienti di correlazione stimati finora). La seconda è che numerosi uccelli vivono molto più a lungo di mammiferi di pari peso corporeo, nonostante i primi abbiano una temperatura corporea mediamente più alta dei secondi (che dovrebbe quindi riflettere un più alto metabolismo specifico). Tanto per fornire un esempio basti pensare al cacatua (un particolare pappagallo - in realtà il nome comprende alcune specie di pappagallo - caratterizzato da un ciuffo sopra la testa) e al ratto. Entrambi pesano circa 300 g, ma il cacatua può raggiungere l’età di 50 anni mentre il ratto non va oltre i 3-4 anni. E sulla base della relazione tra peso corporeo e longevità l’uomo appare una forte eccezione con una longevità di circa 4 volte superiore in base a quanto predetto dalla massa corporea.

Un lavoro pubblicato il mese scorso ha aperto la strada verso una nuova interessante relazione che cerca di spiegare la longevità delle specie.
La neuroscienziata Suzana Herculano-Houzel, già nota per aver trovato un modo per calcolare in modo accurato il numero di neuroni nel cervello dei mammiferi (3), ha trovato una fortissima relazione tra il numero di neuroni della corteccia cerebrale e la longevità delle specie (4). L’analisi è stata condotta su circa 700 specie di vertebrati a sangue caldo (inclusi quindi gli uccelli) e sembra spiegare il 70 % circa delle differenze di longevità tra le specie contro appena il 20-30% che è spiegato dalla massa corporea. Il numero di neuroni nella corteccia cerebrale è correlato inoltre con l’età in cui si raggiunge la maturità sessuale (un altro importante fattore che stabilisce la longevità di una specie) e con la durata della vita dopo il raggiungimento della maturità sessuale. Secondo questa relazione l’uomo non è un’eccezione, e può raggiunge un’età massima (e.g. 120 anni) che come per le altre specie è stabilita sulla base del numero di neuroni della corteccia cerebrale.
Con una semplice formula presentata in questo lavoro si può anche stabilire l’equivalenza di età tra due specie:
Età1 = Età2*(NCx1/NCx2)0.4
[dove i numeri 1 e 2 implicano “specie 1” e “specie 2”].

Quindi i 20 anni di età un uomo (circa 16 miliardi di neuroni nella corteccia cerebrale), corrispondono a 6,6 anni di età un macaco (circa 1 miliardo di neuroni nella corteccia cerebrale), a 5 anni di un cane (circa 500 milioni di neuroni nella corteccia cerebrale) e a 1,6 anni di età di un ratto (circa 30 milioni di neuroni nella corteccia cerebrali).

Una limitazione del presente studio è che non vengono riportate analisi corrette per le relazioni filogenetiche tra le specie. Sebbene sia un argomento dibattuto tra vari ricercatori, le correzioni per l’albero filogenetico (il quale mette in relazione le diverse specie) sono generalmente incluse in studi simili sulla longevità delle specie. Questo aspetto è particolarmente importante perché alcuni organismi che appaiono possedere una longevità simile possono essere in realtà molto lontani l’uno dall’altro nell’albero filogenetico e viceversa.

Siamo comunque sicuri che ulteriori studi approfondiranno questa prima importante pubblicazione sull’argomento, anche perché le implicazioni di tale scoperta sono decisamente importanti nel campo della biogerontologia.

  1. Hofman MA. Metabolism, brain size and longevity in mammals. Quart Rev Biol 1983;58:495-512.
  2. de Magalhães JP, Costa J, Church GM. An analysis of the relationship between metabolism, developmental schedules, and longevity using phylogenetic independent contrasts. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2007;62:149-160.
  3. Herculano-Houzel S. The human brain in numbers: a linearly scaled-up primate brain. Front Hum Neurosci. 2009;9;3:31.
  4. Herculano-Houzel S. Longevity and sexual maturity vary across species with number of cortical neurons, and humans are no exception. J Comp Neurol. 2018 Oct 23. doi: 10.1002/cne.24564.

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