Prendo spunto da un recente
lavoro (1), una “review” per l’esattezza (ovvero una revisione della
letteratura finalizzata all'aggiornamento su un determinato argomento), per
introdurre un argomento che è stato ampiamente sottovalutato dalla
biogerontologia ma che grazie alle nuove tecnologie sta emergendo in tutta la
sua rilevanza e complessità. Mi riferisco in particolare al ruolo del viroma
nell’invecchiamento.
Cos’è il viroma vi starete
chiedendo? Ebbene, in termini semplicistici non è altro che l’insieme delle
comunità virali che risiedono nel nostro organismo. Probabilmente avrete già
sentito parlare di microbiota,
termine che si riferisce non solo ai batteri ma a tutte le comunità di
microorganismi (batteri, protisti, archea, funghi e virus) che vivono nel
nostro organismo (n.b. non solo nell’intestino). Questo significa che il nostro
corpo non è formato solo da cellule “umane” ma è piuttosto formato da una
moltitudine di organismi che vivono in simbiosi. Se pensiamo solo ai batteri,
considerate il fatto che in un uomo ci sono circa 30 trilioni di cellule e 39
trilioni di batteri (un trilione equivale a mille miliardi). In altre parole
siamo formati da quasi un 50% di cellule umane e un 50% di batteri.
Non è quindi sorprendente che
cambiamenti nel microbiota, solitamente studiato limitatamente alla sua
componente batterica (batteriota), si associno a cambiamenti nello stile di
vita e ad altri fattori ambientali, a malattie e perfino all’invecchiamento (2).
Purtroppo la maggior parte degli studi è limitata a studi di tipo
osservazionali, per cui una relazione di causa-effetto è difficile da
estrapolare. Tuttavia, appare ragionevole pensare che gli effetti dei
cambiamenti del microbioma sulla salute umana e sull’invecchiamento siano
rilevanti.
Se ci soffermiamo solo alle
cellule del nostro organismo, sappiamo che generalmente il loro fato consiste
nell’andare incontro a senescenza cellulare, ad apoptosi (morte cellulare) o a
trasformazioni neoplastiche (i.e. diventano una cellula che può dare origine ad
un tumore). All’origine di questi
fenomeni vi sono dei danni di varia natura che caratterizzano l’invecchiamento biologico.
Fenomeni simili non possono essere esclusi anche per quel che riguarda il
nostro microbioma ma le ricerche in questo campo sono ancora limitate.
Lo studio del viroma è ancora più
complesso di quello dei batteri che formano il nostro organismo, infatti, i
virus spesso non possiedono sequenze genetiche note (come nel caso delle
sequenze dei geni ribosomiali utilizzate per i batteri) che consentono la loro
identificazione. Il viroma dei mammiferi comprende virus che infettano le
cellule eucariotiche (quelle che possiamo considerare le “nostre” cellule”), virus
che infettano i batteri (batteriofagi)
e gli archea
(viroma degli archea) che fanno parte del nostro organismo e virus che sono
ormai integrati nel nostro DNA o di quello dei nostri batteri (retrovirus
endogeni, elementi virali endogeni e profagi). Tutti questi virus sono potenzialmente
in grado di replicarsi e, in particolari casi o circostanze, di dare origine a
fenomeni simili ad un’infezione.
Tali virus possono semplicemente
cercare di sopravvivere all’interno del nostro organismo in forma latente fino
a quando non si verificano le condizioni necessarie alla loro riattivazione.
Molti di questi virus sono specializzati nell’evadere le difese del sistema
immunitario e possono diversificarsi ed evolvere fino a sviluppare delle
relazioni simbiotiche con le cellule e l’organismo che li ospita (3).
I virus del nostro viroma
risiedono non solo nel DNA delle nostre cellule e dei nostri batteri, ma anche
nelle mucose e possono persistere in diverse forme latenti in cellule
neuronali, ematopoietiche, staminali, vascolari e probabilmente di qualunque
altro tipo.
Le moderne tecniche di “next generation sequencing” hanno permesso
di analizzare e pubblicare almeno in parte quella che è la composizione del
nostro viroma in condizioni normali. Restano tuttavia ancora molte sequenze
sconosciute che non sono riconducibili a quelle di virus o batteri noti e che
fanno sospettare che il viroma sia molto più ampio di quello che conosciamo
adesso.
Sono state identificate 109
(un miliardo) particelle virali per ogni grammo di contenuto del nostro
intestino, 107 (10 milioni) particelle virali per ogni ml di urina e
105 (centomila) particelle virali per ogni ml del nostro sangue (4).
La maggior parte dei virus che si trovano nell’intestino sono batteriofagi.
Questi virus sono in grado di modulare le funzioni batteriche, ad esempio
alterando la loro capacità di produrre tossine o la loro resistenza agli
antibiotici. Se a questo aggiungiamo il fatto che la metà del nostro genoma è
formata da elementi genomici mobili (trasposoni; vedi post relativo a questo argomento)
che comprendono anche retrovirus endogeni (i.e. virus che
hanno infettato i nostri antenati e si sono integrati nel nostro DNA) è più che
mai ragionevole considerare un ruolo di primaria importanza del viroma nel
processo di invecchiamento.
Cosa sappiamo
finora (elenco solo alcuni degli aspetti conosciuti per non dilungare troppo il
post):
- I cambiamenti epigenetici che accompagnano l’invecchiamento determinano un processo di ipermetilazione focale e demetilazione generale. Quest’ultima può essere associata ad un aumento dell’attività dei trasposoni e di retrovirus endogeni (5).
- L’attivazione di alcuni trasposoni, (in particolare LINE-1) oltre a aumentare il rischio di instabilità genomica determina l’attivazione di alcuni “pathways” (vedi post relativo all’argomento) che comportano un aumento dell’infiammazione cronica che accompagna l’invecchiamento (fenomeno noto come “inflammaging”) (6).
- Per ciò che riguarda i retrovirus endogeni, sappiamo che, nonostante questi abbiano perso la loro capacità infettiva nel corso dell’evoluzione, possono essere coinvolti nella patogenesi di alcune malattie autoimmunitarie, nell’attivazione di linfociti B e T e nella carcinogenesi (7). Purtroppo i meccanismi non sono ancora chiari e tutto è complicato dal fatto che ci sono migliaia di retrovirus endogeni differenti con differente attività biologica. L’espressione di alcuni di questi aumenta nei campioni biologici prelevati da individui anziani, lasciando aperta la domanda se il declino immunitario o i cambiamenti epigenetici o altri processi sono coinvolti in questo fenomeno (8).
- Altri virus, quali il citomegalovirus (CMV) possono persistere in forma latente nel nostro organismo e indurre cambiamenti deleteri nel sistema immunitario (9). Lo stesso è stato in parte dimostrato per diversi altri Herpes virus. A questo si aggiunge anche la recente scoperta che il titolo di Torque teno virus (TTV) nel sangue è associato alla mortalità nell’anziano (10).
- Sappiamo che il viroma batterico oltre a modulare le funzioni del microbiota può anche interagire direttamente col nostro sistema immunitario. Particelle dei batteriofagi possono entrare in contatto con le cellule epiteliali e possono anche attraversare la mucosa intestinale o venire trasportate da cellule dendritiche e avere accesso sistemico (11). Alcune di queste particelle possono anche stimolare la produzione di citochine pro-infiammatorie e interagire a vari livelli col sistema immunitario (12).
- Il viroma è talmente integrato nel nostro organismo che assolve funzioni importanti per la nostra salute. Il genoma dei batteriofagi può stimolare la produzione di interferone aiutandoci a proteggerci dall’infezione di altri virus (13). Le proteine prodotte dai batteriofagi possono proteggerci da infezioni batteriche di natura esogena (14).
- Il nostro viroma influenza i geni e le proteine che producono le nostre cellule, incluse le cellule che non sono “infettate”, determinando quello che viene chiamato “imprinting trascrizionale mediato dal viroma” (3).
- Le funzioni positive e negative che assolve il viroma sono ancora per gran parte inesplorate e probabilmente alcune di queste facciamo fatica ad immaginarle. Basti pensare come esempio (ma ce ne sono molti altri) che una proteina prodotta da batteriofagi che infettano i batteri degli afidi riesce a proteggere questa specie da larve parassite iniettatigli dalle vespe.
Alla luce di queste evidenze e di
quanto ancora non conosciamo mi viene da chiedere quale sia il reale contributo
del viroma (e del microbiota) all’invecchiamento. Può essere talmente grande da
risultare uno dei fattori primari oppure i cambiamenti del viroma sono per lo
più un “riflesso” del decadimento del sistema immunitario? Quanto è rilevante
la competizione tra i vari virus e batteri nel preservare la vitalità del
nostro organismo? Seguendo il concetto dell’antagonismo pleiotropico non è
difficile ipotizzare che si siano selezionate alcune funzioni del viroma che
siano benefiche durante la nostra età riproduttiva e deleterie durate l’invecchiamento.
Come è possibile quantificare
l’impatto del viroma nell’invecchiamento? È possibile generare un organismo
(anche molto semplice) “epurato” da tutto il viroma e studiare il suo processo
di invecchiamento?
E infine…..perché questo fenomeno
è ancora così scarsamente considerato in biogerontologia?
Referenze
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- Finlay BB, Pettersson S, Melby MK, Bosch TCG. The Microbiome Mediates Environmental Effects on Aging. Bioessays. 2019 Jun 3:e1800257.
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