venerdì 11 ottobre 2019

Ringiovanimento epigenetico e trial clinici con senolitici sull’uomo. Il punto della situazione.






Di particolare interesse, non solo per chi si interessa di biogerontologia, sono i risultati di due studi recentemente effettuati sull’uomo. Prima di approfondire questo argomento va rimarcato che stiamo parlando di studi clinici preliminari e che quindi i trattamenti di cui mi appresto a parlare possono avere effetti collaterali seri che in larga parte non si possono ancora conoscere. Pertanto, invito tutti i lettori a non pensare neanche lontanamente di fare una sperimentazione su sé stessi. I pericoli ci sono, e questi trattamenti non vanno affrontati al di fuori di trial clinici rigorosamente controllati ed approvati.

Il primo studio riguarda un intervento che sembra essere stato in grado di far tornare indietro le lancette dell’orologio epigenetico nell’uomo (1).
Il secondo riguarda la prima prova di concetto sulla rimozione delle cellule senescenti attraverso un trattamento con un senolitico nell’uomo (2).

In questo post cercherò di descrivere i risultati e i dettagli metodologici rilevanti di questi studi e proverò anche ad evidenziare quelli che secondo me sono i limiti e le cose che necessitano approfondimenti. Poiché il post è un po' più lungo del solito, ho cercato di suddividerlo in brevi capitoli in modo che il lettore possa soffermarsi su ciò che ritiene più interessante.

1. Il TRIMM study e la prima dimostrazione di un ringiovanimento epigenetico sull’uomo.

Lo studio in cui si è evidenziato che le lancette dell’orologio epigenetico possono tornare indietro nell’uomo (per un approfondimento dell’orologio epigenetico vedere il mio post qui) è stato in origine disegnato per cercare di recuperare la funzionalità del timo.

1.1. Breve parentesi sull’involuzione timica nell’invecchiamento
La perdita della funzionalità del timo (involuzione timica) è una delle alterazioni più caratteristiche dell’invecchiamento ed è strettamente associata al declino del sistema immunitario e al rischio di malattie età associate. Già intorno ai 30 anni si osserva una riduzione del peso dell’organo di circa il 30% e intorno ai 60 anni la massa del timo è all’incirca dimezzata. Il timo è l’organo dove vengono fatti maturare i linfociti T e dove imparano a distinguere ciò che fa parte del nostro corpo da ciò che è estraneo. Esperimenti effettuati in topi di laboratorio hanno dimostrato che il trapianto di timo neonatale in topi vecchi può risultare in un modesto ma significativo aumento della lunghezza della vita (3). Sono inoltre stati evidenziati da numerosi studi alcuni fattori ormonali e non ormonali che sembrerebbero influire positivamente sul timo e su una sua potenziale “ricrescita” funzionale (4-6).

1.2. Il cocktail di ormoni, farmaci e integratori utilizzato nello studio
Il trial (“TRIIM study”) è stato condotto utilizzando un cocktail contenente un fattore di crescita (l’ormone della crescita, GH, noto anche come somatotropina – dose 0.015 mg/kg a partire dalla prima settimana), un ormone steroideo (il 5-deidroepiandrosterone, DHEA – dose 50 mg a partire dalla seconda settimana), un farmaco antidiabetico (metformina – dose 500 mg a partire dalla terza settimana) e due micronutrienti (Zinco e Vitamina D). Il GH, secondo l’ipotesi iniziale dello studio è il principale fattore che dovrebbe aiutare a recuperare la funzionalità timica (7-8). La metformina è stata aggiunta per contrastare l’eventuale effetto pro-diabetico del GH e per i suoi potenziali effetti sulla longevità umana (9). Il DHEA è stato aggiunto perché i suoi livelli diminuiscono con l’invecchiamento e può contribuire alla funzionalità immunitaria e alla produzione di altri fattori di crescita indirettamente coinvolti nell’involuzione timica (10). Infine, lo zinco (50 mg a partire dalla prima settimana) e la vitamina D (dose 3,000 IU a partire dalla prima settimana) sono stati aggiunti per i loro effetti anti-infiammatori (11-12) e per il loro potenziale effetto positivo sull’involuzione timica (5, 13).
Lo studio è stato effettuato su 9 volontari di età compresa tra i 51-65 anni e l’intervento è durato un anno.

1.3. I risultati dello studio
Le indagini condotte con la risonanza magnetica hanno evidenziato che, dopo un anno di intervento, la parte funzionale del timo era ricresciuta, i marcatori infiammatori diminuiti e alcuni parametri immunitari erano cambiati positivamente. Tuttavia, il risultato che ha destato più scalpore riguarda l’analisi dell’orologio epigenetico effettuata con diverse metodiche nel sangue di questi volontari. I risultati di uno degli orologi maggiormente associati al rischio di mortalità e alla lunghezza della vita nell’uomo, il “GrimAge clock” (14), hanno indicato un guadagno di 2 anni sull’aspettativa di vita. Anche le altre metodologie utilizzate per misurare l’orologio epigenetico sono state in accordo con questo potenziale effetto di “ringiovanimento”.
 
1.4.  Limiti dello studio
I risultati sono di grande interesse perché non era mai stato comprovato prima sull’uomo un intervento in grado di riportare indietro le lancette dell’orologio epigenetico. Tuttavia, va considerato il fatto che si tratta di uno studio pilota (effettuato su un numero limitatissimo di individui) che non aveva un gruppo di controllo (placebo) e che quindi è soggetto a potenziali bias, primi fra tutti i famigerati “batch effects” (variabilità dei dati dovuta a manipolazioni effettuate in tempi differenti).

1.5.  Che significato biologico può avere il ringiovanimento epigenetico che è stato osservato?
Considerando che l’effetto sia veramente reale, ci sono comunque diverse cose da tenere in considerazione. La prima è che ancora non sappiamo bene cosa misurano gli orologi epigenetici. Sono davvero una misura diretta di un orologio biologico che determina l’invecchiamento al pari dello sviluppo e che dopo una certa età innesca una specie di meccanismo di “auto-distruzione” (questo secondo le teorie deterministiche dell’invecchiamento)? Oppure sono una misura indiretta dei danni che si accumulano nelle nostre cellule col passare del tempo (questo secondo le più accreditate teorie non-deterministiche dell’invecchiamento)? Oppure è qualcosa di ancora diverso. Negli studi effettuati sull’uomo, l’orologio epigenetico viene normalmente elaborato da misurazioni effettuate su campioni di sangue. In questo tipo di campioni è ragionevole chiedersi se l’output timico (la produzione di cellule T “naive”) possa avere una qualche influenza sui marcatori epigenetici rilevati nel sangue, soprattutto in considerazione che l’intervento ha dimostrato una ricrescita funzionale del timo.

1.6.  Quale componete o sinergia di componenti del cocktail utilizzato potrebbe essere responsabile degli effetti sull’orologio epigenetico?
Per quanto ne sappiamo finora, l’ormone della crescita e il DHEA agiscono stimolando il pathway dell’IGF1 (Fattore di crescita insulino simile 1) che, in base a numerosi studi, sembrerebbe avere un effetto di accelerazione del processo di invecchiamento (15). Tuttavia, ci sono anche argomenti a favore di una terapia basata su questi fattori di crescita nell’invecchiamento (16). Probabilmente ci sono alcune cose da rivedere sperimentalmente su questo argomento. Siamo infatti giunti alla conclusione di un effetto negativo della stimolazione del pathway dell’IGF-1 sull’invecchiamento basandoci prevalentemente sui risultati ottenuti in modelli animali in cui le mutazioni avevano un effetto a partire dallo sviluppo. Non è escluso quindi che i risultati di una stimolazione transiente di tale pathway in organismi adulti o anziani possa avere effetti differenti. Anche la metformina potrebbe contribuire a modulare l’orologio epigenetico poiché sembra avere effetti positivi sulla longevità nei topi di laboratorio e forse anche nell’uomo (6). Però, anche la metformina non è esente da effetti collaterali e non sembra agire su tutti gli individui allo stesso modo. Gli ultimi due componenti del cocktail sono la vitamina D e lo zinco. Anche questi micronutrienti non possono essere esclusi degli effetti osservati sull’orologio epigenetico. Infatti, interventi di supplementazione effettuati nell’uomo e nel topo con ciascuno di questi due micronutrienti hanno dimostrato effetti positivi a carico del sistema immunitario e su alcuni “outcome” di salute negli anziani (11). È interessante adesso cercare di capire, anche attraverso specifici studi pre-clinici, quale combinazione o quale componente può essere responsabile di questo effetto e se i cambiamenti epigenetici rilevati corrispondono ad un incremento della lunghezza della vita, e soprattutto della vita in salute.

2. La combinazione di Dasatinib e quercetina, uno dei più noti senolitici, può ridurre l’accumulo di cellule senescenti nell’uomo.

Anche in questo caso si tratta di uno studio pilota (2). Lo studio è stato effettuato su 9 pazienti affetti da diabete di tipo 2 e con evidenza di disfunzioni renali. Lo studio aveva lo scopo di dimostrare che anche nell’uomo, come evidenziato nel topo, la somministrazione di un senolitico (per saperne di più sui i senolitici rileggete il mio post qui) è in grado di eliminare l’eccessivo carico di cellule senescenti che, probabilmente, contribuisce a questa patologia e a numerose altre patologie associate all’invecchiamento. Oltre a questo, si andava anche a rilevare la sicurezza della somministrazione e gli eventuali benefici nelle condizioni di salute dei pazienti.

2.1. Il design dello studio
Lo studio pilota è stato registrato nel database ClinicalTrials.gov (NCT02848131). Ai 9 pazienti (che presentavano diabete di tipo 2 e disfunzioni renali) sono stati somministrati per 3 giorni 100 mg di Dasatinib e 1000 mg di quercetina (la combinazione di questo farmaco antitumorale e di questo flavonoide ha dimostrato effetti senolitici in numerosi studi pre-clinici). I dosaggi sono volutamente più alti rispetto ai trattamenti effettuati precedentemente con dasatinib nei tumori e alle supplementazioni con quercetina.   Infatti, il dosaggio senolitico ha lo scopo di rimuovere l’eccesso di cellule senescenti uccidendole con un composto cui sono particolarmente sensibili minimizzando altri danni all’organismo. Nei modelli preclinici in cui vengono sperimentati i senolitici si somministrano quindi dosi alte per tempi brevissimi. Prima della somministrazione del senolitico e all’11esimo giorno dal termine della somministrazione ai pazienti è stato effettuato un prelievo di sangue e sono state effettuate biopsie del tessuto adiposo e della pelle.

2.2. I risultati dello studio
Purtroppo non sono stati ancora riportati i risultati degli outcome clinici (ad esempio, i cambiamenti nella funzionalità renale e negli indici di fragilità dei pazienti), ma è ragionevole aspettarsi che lo saranno a breve. Tuttavia è stata riportata una diminuzione significativa di molteplici marcatori associati alla senescenza cellulare sia nel tessuto adiposo (diminuzione di cellule che esprimono p16 e p21, diminuzione di cellule con alta attività di beta-galattosidasi, diminuzione di cellule progenitrici degli adipociti con limitata capacità proliferativa) che nella pelle (diminuzione dell’espressione di p16 e p21) compatibili con l’interpretazione di una diminuzione del numero di cellule senescenti. Tale diminuzione è stata osservata anche in fattori circolanti (IL-6, MMP-9 e MMP12) che possono in parte essere originati dalle secrezioni prodotte dalle cellule senescenti.
È altresì importante rilevare che non sono stati registrati eventi avversi di seria entità e che tutti i pazienti hanno completato lo studio.

2.3. Limiti dello studio
Anche in questo caso si tratta di uno studio pilota (effettuato su un numero limitatissimo di individui) che non aveva un gruppo assegnato al placebo. Non è inoltre possibile escludere che le analisi possano avere subito l’influenza di “batch effects”. Un altro trial clinico pilota effettuato con Dasatinib + quercetina in pazienti con fibrosi polmonare idiopatica ha fornito risultati positivi (miglioramento delle performance fisiche) ma non entusiasmanti (nessun cambiamento nella funzionalità polmonare) (17). Questo suggerisce che la strada verso l’ottimizzazione dei dosaggi e verso un’evidenza che tali farmaci abbiano un’utilità clinica superiore alle terapie convenzionali è ancora molto lunga e non priva di imprevisti.

2.4. Rilevanza e implicazioni dei risultati dello studio
Gli interventi con senolitici fanno parte di una nuova generazione di trattamenti che cerca di intervenire sui processi fondamentali dell’invecchiamento, quali la senescenza cellulare, con lo scopo di ritardare, prevenire o alleviare le sofferenze dovute a malattie associate all’invecchiamento. I risultati pre-clinici finora ottenuti con i senolitici sui topi sembrano confermare che questa idea può aprire nuove strade terapeutiche in molteplici patologie. Tuttavia, l’ipotesi che i senolitici agiscano effettivamente attraverso la rimozione delle cellule senescenti nell’uomo è difficile da confermare per una serie di limitazioni che non mi dilungo ad elencare. Questo studio, sebbene anch’esso con numerose limitazioni, sembra confermare che quanto osservato nel topo potrebbe avvenire anche nell’uomo. Il passaggio dalla sperimentazione sul topo alla conclusione dei primi trial effettuati sull’uomo è stato rapidissimo (meno di 4 anni), e stando ai primi risultati è possibile che ci troviamo di fronte ad uno dei migliori esempi di efficienza di ricerca traslazionale. Resta tuttavia ancora molto lavoro da fare per verificare l’efficacia di tali farmaci, per ottimizzare i dosaggi nell’uomo e per chiarire quali siano i possibili rischi dovuti ad effetti avversi. Resta inoltre ancora irrisolto il problema della specificità dei senolitici (che attualmente sono solo selettivi) ma si stanno già programmando ulteriori studi pre-clinici destinati ad affrontare questo problema attraverso l’ausilio di innovative tecnologie biomediche.

Referenze

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5. Mocchegiani E, Santarelli L, Muzzioli M, Fabris N. Reversibility of the thymic involution and of age-related peripheral immune dysfunctions by zinc supplementation in old mice. Int J Immunopharmacol. 1995 Sep;17(9):703-18.
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