sabato 30 marzo 2019

News sulle origini dell’infiammazione cronica associata all’invecchiamento e prospettive di trattamento terapeutico




È ormai un dato ben consolidato dalla letteratura che un aumento di infiammazione sub-clinica caratterizza l’invecchiamento e contribuisce a danneggiare i tessuti degli individui più anziani. Questo concetto è stato in origine definito “inflammaging” e, sebbene nel tempo abbia subito varie evoluzioni e raffinazioni, l’idea di base è rimasta immutata. Numerosi studi sono stati effettuati per investigare i motivi dell’incremento di questa infiammazione cronica. Con molta probabilità alcuni dei meccanismi maggiormente coinvolti includono l’accumularsi di patogeni responsabili di infezioni latenti e i cambiamenti nel microbioma che non sono graditi al nostro organismo. In quest’ultimo periodo, tuttavia, sta emergendo il concetto che l’accumularsi di cellule senescenti sia uno dei maggiori fattori che contribuisce all’infiammazione sistemica e tissutale associata all’invecchiamento. Le cellule senescenti possono infatti produrre un secretoma a carattere pro infiammatorio (denominato SASP= “senescence associated secretory phenotype”) che può essere responsabile di disfunzioni tissutali e che può anche contribuire allo sviluppo di diverse patologie età associate.
In questi ultimi mesi sono usciti dei lavori che mettono in evidenza quali meccanismi all’interno delle cellule senescenti o non-senescenti (ma comunque di organismi che invecchiano) possono scatenare l’aumento di infiammazione. 
Sappiamo tutti che il DNA è ben confinato nel nucleo della cellula, ma probabilmente in pochi sanno che in particolari circostanze si può ritrovare del DNA di origine nucleare anche al di fuori del nucleo. Nella maggior parte dei casi, si tratta di DNA che ha subito dei danni e che viene trasportato mediante il meccanismo di autofagia per poi essere degradato dalle nucleasi lisosomiali. Tuttavia, nel caso in cui ci siano difetti nel processo di autofagia o nel caso in cui la presenza di tale DNA aumenta notevolmente questo DNA innesca un pathway denominato STING (stimolatore dei geni dell’interferone) che origina una risposta infiammatoria mediata da interferone di tipo I; la stessa risposta che avverrebbe nel caso in cui la cellula fosse infettata da un virus o altri tipi di patogeni intracellulari. Anche le cellule senescenti subiscono cambiamenti consistenti nella cromatina e sembra che in queste condizioni la presenza di DNA extra-nucleare possa aumentare.  Un recente lavoro (1) dimostra che i fibroblasti umani che si avvicinano allo stadio di senescenza replicativa accumulano questo DNA extra-nucleare con conseguente produzione di citochine pro-infiammatorie mediate dall’attivazione dello STING pathway. Questo fenomeno pro-infiammatorio contribuiva all’accumulo di cellule senescenti nel topo e poteva essere attenuato attraverso un aumento di espressione di DNASE2A (una nucleasi lisosomiale convolta nella degradazione del DNA extra-nucleare).
Parallelamente a questo lavoro, è stato osservato che nelle cellule senescenti, in particolare quelle che si sono formate da più tempo (possiamo chiamarle cellule senescenti “tardive”), sussiste un intensa attività di elementi retrotrasponibili (chiamiamoli trasposoni per semplicità e vi suggerisco di vedere un mio precedente post su questo argomento). I trasposoni di tipo L1 (noti anche come LINE-1) sembrano quelli maggiormente attivati nella senescenza cellulare e, non sembra una semplice coincidenza il fatto che siano in grado di attivare una risposta infiammatoria mediata da interferone di tipo I (2). Questa risposta è mediata proprio dalla presenza di DNA di L1 nel citoplasma e può essere repressa in presenza di inibitori delle trascrittasi inverse, quale la Lamivudina, un farmaco noto per le sue proprietà benefiche nell’infezione sostenuta da virus dell'Immunodeficienza Umana (HIV). L’effetto anti-infiammatorio di tale inibitore è stato osservato anche “in vivo” sul topo con una riduzione significativa dell’infiammazione associata all’invecchiamento. Questi risultati aprono una nuova strada terapeutica nel trattamento delle condizioni associate all’invecchiamento in cui la senescenza cellulare e l’infiammazione cronica sono un fattore comune. Poiché diversi inibitori delle trascrittasi inverse sono già approvati per l’uso nell’uomo (in particolare per il trattamento dell’HIV) non escludo che vedremo a breve dei trial clinici in pazienti con Alzheimer, artrosi o condizione estrema di fragilità.
  1.  Lan YY, Heather JM, Eisenhaure T, Garris CS, Lieb D, Raychowdhury R, Hacohen N. Extranuclear DNA accumulates in aged cells and contributes to senescence and inflammation. Aging Cell. 2019 Apr;18(2):e12901.
  2. De Cecco M, Ito T, Petrashen AP, Elias AE, Skvir NJ, Criscione SW, Caligiana A, Brocculi G, Adney EM, Boeke JD, Le O, Beauséjour C, Ambati J, Ambati K, Simon M, Seluanov A, Gorbunova V, Slagboom PE, Helfand SL, Neretti N, Sedivy JM. L1 drives IFN in senescent cells and promotes age-associated inflammation. Nature. 2019 Feb;566(7742):73-78.